lunedì 16 marzo 2009

Africa, terra di opportunità


Nell’ immaginario collettivo é sempre stata l’America la terra delle opportunità, delle speranze, ricettacolo per ogni sorta di avventurieri, scollati e sfaccendati d’ Europa. A partire dal Mayflower dei quaccheri disadattati fino agli inizi del secolo, quando tanti di Caprio meno bohémienne e più sporchi della versione cinematografica (ma un po’ più fortunati, certo) andarono ad ingrossare le file dei disperati nelle metropoli del nuovo mondo. Non é un caso che ancora adesso l’America del nord sia l’unico posto al mondo dove si possa acquisire la residenza attraverso la lotteria, una specie di certificazione dell’ american way of life intesa come ultima risorsa di quelli che non hanno niente da offrire al mondo, se non un po' di fortuna o di faccia tosta.
E mentre si creavano i miti e riti dell’immigrazione americana, e l’ immaginario collettivo si plasmava sulle immagini alla Don Vito Corleone, ma anche alla Mike Bongiorno fino ad arrivare a Bad Spencer e Terence Hill, che ne era dell’Africa nell’immaginario europeo? O meglio, chi era l’europeo che viveva in Africa, nell’immaginario europeo? Perché l’africano si sa, si conosce dal tempo in cui li rapivamo per mandarli a lavorare dall’altra parte dell’oceano, e neanche ci ringraziavano che gli trovavamo un’occupazione coi tempi che correvano. Sono baluba, che se non son pigri son cattivi, e se non son cattivi sono troppo buoni, oscillanti tra l’ immagine del buon selvaggio alla Venerdì di Robinson Crusoe che non ha l’orologio perché lui ha il tempo, al cannibale genocidiario ruandese che gira in mercedes, tortura i sudditi e ne mangia il cuore. E in mezzo a questi estremi umani viveva un altrettanto caricaturale esemplare di bianco, una vita nella bidonville o nelle ville coloniali, il prete eroe, la suorina martire dotati entrambi di straripante entusiasmo ed amore per il prossimo o il freddo mercante di diamanti-armi-medicine-coltan che va con le bambine e spara all’ultimo esemplare di rinoceronte bianco, in una sorta di sinistra aderenza tra tipi umani.
Fosse così semplice, l’Africa che sconta il sottosviluppo come pegno alla sua doppia anima troppo ingenua o troppo spietata e i bianchi che arrivano perché o troppo buoni o troppo cattivi per guardare e basta.
Arrivare a Kinshasa significa invece rimanere stupiti della varietà umana che vi si ritrova, alcune donne che sembrano uscire direttamente da un dipinto ad olio di inizio secolo, circondate da europei in tenuta cachi e cappellone da safari, accanto ad uomini in giacca e cravatta che passerebbero inosservati nella metropolitana di Parigi o in quella di Londra. E ancora la maggioranza dei ragazzi, delle persone, che non sono ne businessman ma neanche stregoni di qualche tribù per il disappunto degli europei di passaggio con velleità etnografiche, ma semplici ragazzi che vivono l’anima africana contemporanea, fatta di telefonini e malocchio, sincretismi cristiano animisti e sogni di espatrio in occidente.
Ma la varietà umana la si riscontra anche tra gli europei, che non sono solo preti coi sandali e il tao o sinistri mercanti con amanti nere e mogli rifatte, ma bensi’ una quantità di tipi umani francamente stupefacente, al punto che ci si domanda, visto il grande benessere e progresso che questi ultimi dovrebbero portare, il perché di risultati così deludenti. Dai cooperanti con jeep bianca e antenna satellitare che neanche una spedizione al polo fino agli addetti delle nazioni unite che infestano ristoranti e supermercati, dai panciuti uomini di qualche impresa belga rigorosamente con doppio cellulare alla cintura e gambe pallide sotto i bermuda, fino agli affaristi libanesi che hanno in mano il commercio del paese, é la mediocrità il sinistro tratto che tutti accomuna.
Ong dai budget vertiginosi gestiti da neolaureati in stage; congregazioni dotate di strutture che per girarle ci vuole un’automobile, con parchi macchine in cui si può perdere il conto, dove vivono seppellite quattro suorine che gestiscono un dispensario o una sartorie di abiti sacri ; e ancora direttori di enti benefici con i cordoni della borsa sempre aperti ma dalla professionalità perlomeno dubbia, impegnati in una pioggia di aiuti che però trovano stranamente qualche intoppo: la montagna che partorisce il topolino, e a volte nemmeno quello.
Personalmente sono passato direttamente dallo scarico bagagli a Malpensa alle cene dai governatori, le riunioni alle ambasciate, le amicizie personali con i rettori e le chiacchierate tête a tête con i vescovi; e tutto questo rifuggendo i supposti onori. Datevi minimamente da fare, ripulitevi un po’ e girate con una cartelletta: l’Africa non aspetta che voi per affidarvi fondi e responsabilità che in Italia nessuno si sogna di darvi. Mal che vada si avrà qualche spreco, ma si sa che la missione non é facile per nessuno, che gli africani sono imbroglioni, che chi non fa non sbaglia : una pacca sulla spalla e si ricomincia.
Quando Conrad narrò il suo Congo in Cuore di tenebra, avvertì subito i lettori : laggiù non avrebbero trovato il demone vigoroso delle passioni umane, quello che può sfociare nel male assoluto come nelle grandi imprese, bensì quello pigro, molle della cupidigia e dell’accidia, la mediocrità come rumore di fondo. A distanza di anni il ritratto non é molto dissimile, e ancora quest’ angolo d’Africa é così, é ancora terra di oppurtunità, una novella America per chi in Europa é un signor nessuno e non si può permettere l’autista, le amicizie col segretario dell’ambasciata e di dare del tu a tutti.
E’ questa spesso la ricetta del mal d’Africa: é la nausea dell’anonimato di ritorno, dove nessuno ti chiama padrone e se hai dei fondi devi rispondere di come li spendi; dove sei importante solo al bar sotto casa.
Africa, terra di opportunità : per gli africani, l’ ennesima sprecata.


domenica 8 marzo 2009

Festa della donna 2009.









Donna africana dalla pelle d'ebano,

color della terra che nutre gli uomini!

Donna nera dagli occhi lucenti,

simili alla vivacità del sole

che ogni mattina dona nuova speranza.

Colei è la "Mama Afrika".

Così esordisce una delle tante poesie che oggi celebrano la donna africana.

In splendidi e coloratissimi abiti, pagnes, mettono in mostra la loro femminilità indipendentemente dall'età.

Presso il nostro centro tutte le donne sono state festeggiate venerdì grazie all'intervento di una educatrice sul ruolo della donna nella società ed un breve spettacolo di danza; mentre oggi Kinshasa brulica di associazioni che sfilano nei loro abiti tradizionali davanti allo stadio dei martiri per manifestare di concerto l' impegno di ciascuna per un Congo migliore, al grido di Je dénonce.